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La mia intervista a Libero

LE INTERVISTE DI LIBERO: GIOVANNI DONZELLI

Il consigliere regionale toscano di Fdi svela i difetti del premier
«Vi racconto Matteo ragazzo quando votava per il fascista»

«Lavorai per suo papà: ha sempre avuto manie di grandezza e sfruttato soldi pubblici e amicizie. Si dice che in università mi sostenesse: ero missino e la sinistra mi menava»

Scusi Donzelli, ci conferma il curriculum lavorativo ai tempi dell’università?
«Guardi, le dico subito che a 19 anni ho aderito all’Msi e la mia famiglia non ha condiviso la scelta e…».

E cosa c’entra, scusi?
«Aspetti!Per la mia famiglia, che è sempre stata di sinistra, fu una tragedia».

Questa è bella! Ma non c’entra con la dom…

«Aspetti! I miei genitori non avevano mai fatto politica, ma
mio padre – che quando entrai nell’Msi era morto da poco – era socialista. Mia mamma aveva sempre votato a sinistra o al centro. Mio nonno, che viveva con noi, era socialista ed era stato antifascista».

E lei come fece a ritrovarsi a destra?
«Mi riconoscevo in quei valori. Poi ero affascinato da Fini (che delusione!). E infine reagii all’ arroganza dei collettivi universitari».

Ha fatto come Fini, che si ritrovò a destra perché gli estremisti rossi gli negarono l’accesso a un cinema?
«Erano intolleranti e intransigenti, in più quando entrai nell’ Msi
c’era il primo governo Berlusconi. La sinistra era aggressiva
soprattutto nella facoltà di Lettere, che frequentai prima di passare ad Agraria».

Detto questo, cosa c’entra la storia della sua famiglia con il lavoro ai tempi dell’università?

«La mia famiglia disse: se vuoi perdere tempo con la politica, fai come vuoi ma mantieniti tu. Mi tagliò la paghetta. Ma avevo 19 anni: era giusto. Quindi ho fatto l’animatore turistico, ho dato ripetizioni, insegnavo pianoforte e…».

E…?
«E poi sì, facevo lo strillone. Vendevo il giornale, di notte e di mattina».

Ecco!Qui la volevamo! Giovanni Donzelli, classe 1975, consigliere regionale toscano di Fratelli d’Italia, sposato con una militante di destra, due figli. È il fustigatore di Renzi e della sua famiglia, che conosce da anni.
«Lavoravo per la Speedy srl della famiglia Renzi».

Come ci arrivò?
«Ho un passato negli scout, alcuni amici comuni conoscevano
i Renzi».

Ah, un raccomandato.
«Macché! Cercavano di continuo gli strilloni. Dalle 24 alle 3 vendevo i giornali freschi di stampa nei locali, poi li distribuivo ai semafori dalle 5 alle 8. Quindi restituivo le copie invendute. Era un lavoraccio».

Che datori di lavoro erano i Renzi?

«Non mi lamento. La madre seguiva l’aspetto amministrativo dell’azienda, il padre veniva col furgone a recuperare le copie».

E Matteo?

«Al massimo si faceva vedere verso le 11, a ritirare le copie
invendute. Ma già ci eravamo incrociati».

Chissà quante litigate per la politica!
«Nessuna! Lui non aveva mai frequentato partiti. E qualcuno
ha raccontato che anni dopo si sfogava contro di me dicendo: “Mi critica, ma quello l’ho pure votato quando si candidò alle elezioni universitarie!”. Non ha mai smentito».

Lei prese una raffica di sberloni dai collettivi di sinistra. Il suo presunto elettore Renzi non la difese mai?
«Non ci fu mai occasione. Comunque è vero: presi tante sberle e una volta mi buttarono giù dalle scale. Feci i nomi degli aggressori ma il processo finì in nulla. Non potevo neanche entrare in biblioteca. Mi davano del fascista. Questa era la Firenze degli anni ’90».

Dicevamo di lei e di Matteo Renzi.
«Nacque Chil e Matteo, che fino ad allora aveva contratti co. co. pro. o part time, ne prese uno da dirigente».

E perché, secondo lei?
«Stava per andare in Provincia. La legge dice che quando si
svolge attività istituzionale si va in aspettativa non retribuita, ma i contributi previdenziali vengono pagati dallo Stato. E quindi lui ha preso contributi più alti. In questo modo s’è guadagnato 40mila euro di Tfr».

Quanto lavorò dai Renzi?
«Per due anni».

È incredibile immaginare che non abbiate mai discusso di politica.
«Loro non hanno mai fatto politica: suo padre era un vecchio democristiano e a Firenze erano visti come gente di centro o addirittura di destra. Quando Renzi jr finì in Provincia, per tutti era un marziano».

Addirittura.
«Ripeto: non aveva mai fatto politica. Era paracadutato».

Firenze è una storica roccaforte della sinistra. È difficile credere che abbia scelto un estraneo come presidente della Provincia!
«Il padre era un vecchio dc di Rignano, e fu fondamentale per far vincere il congresso a Pistelli. Dato che a Firenze era arrivato un sindaco di sinistra come Domenici, i dc di sinistra chiesero per sé la Provincia. E babbo Renzi spinse il figlio».

E Matteo?
«Capì le potenzialità economiche della Provincia. Si circondò di amici fidati presi da fuori e puntò tutto sulla comunicazione. Un esempio è l’iniziativa del Genio fiorentino, per cui spendeva qualcosa come 8milioni di euro di cui solo 400mila per le manifestazioni. Il resto era tutta pubblicità su radio e giornali. Italiani e stranieri. Così Renzi iniziò a entrare in contatto con editori e direttori».

Mica scemo.
«Creò la Florence multimedia con Bacci presidente e Carrai e Guelfo Guelfi nel cda. Hanno fatto tutti carriera grazie a Matteo».

Lei, da ex dipendente, iniziò a diventare acerrimo nemico dei Renzi.

«Per forza! Ha iniziato subito a gestire la cosa pubblica in questo modo truffaldino. Io denunciai subito tutto! Ero consigliere comunale e facevo asse con un collega di An che era in Provincia. Renzi fu molto leggero pure con le carte di credito».

Attenzione, noi non vogliamo querele!
«Macché querele, lui per primo sa che è tutto vero».

Renzi è stato assolto dalle accuse d’aver scialacquato denaro pubblico.
«Il giudice che ha firmato l’assoluzione è lo stesso che poi è andato alla Corte dei conti per scelta di Renzi».

Quante telefonate di insulti le ha fatto Renzi?
«Zero. Ma da sindaco, quando ci si vedeva, mi dava dello stronzo e ironizzava. Io lo sfottevo anche perché è di Rignano e faceva il sindaco di Firenze. Quando io fui eletto a Pisa mi regalò una torre pendente per restituirmi il favore».

Diceva delle spese pazze di Renzi.

«Appena entrato in Comune volle cambiare la poltrona di Domenici. 2200 euro. E spese 5mila euro per sistemare l’ufficio. Ha manie di grandezza. Poi disse che avrebbe restituito la poltrona, ma non mi risulta l’abbia fatto».

Be’, fossimo maligni le ricorderemmo che da ragazzino Renzi era soprannominato «il Bomba».
«Anche negli scout lo chiamavano così. Le sparava grosse. Quando doveva ritirare i giornali invenduti, voleva spiegare a noi come si vendevano i giornali ai semafori senza averne mai venduto uno».

E che diceva?
«Tenetelo alto, bene in vista!».

Ha mai visto la Boschi?

«Mai. Ho saputo della sua esistenza solo quando è diventata ministro».

Ha più sentito i Renzi?
«No, ma appena faccio comunicati su di loro, il padre Tiziano minaccia querela. Poi non me ne ha mai fatta una, nemmeno quando ho spiegato perché gli avevamo pagato i debiti di famiglia».

Cioè?
«La famosa Chil ha fatto richiesta di finanziamento dopo aver spostato la proprietà alle donne di famiglia, perché la Fidi Toscana spa – della Regione dava fidi con garanzia più alta alle imprese femminili. Non hanno mai restituito i soldi, e dopo poco tempo cambiarono la proprietà affidandola ancora al padre e trasferirono la sede a Genova. I soldi furono restituiti dal governo Renzi. E sa chi garantì con la banca per il prestito?».

Lo dica lei, per carità.
«Il babbo di Luca Lotti! Nello stesso periodo in cui Matteo portò Luca in Comune. Adesso è sottosegretario. Capito?».

Donzelli, scusi la domanda. Ma lei è di destra in una famiglia di sinistra. È stato finiano
e poi ha mollato Fini. Ha lavorato per i Renzi e ora li attacca. È sempre stato seguace di Gasparri e ora siete in partiti diversi. Non si sente un traditore seriale?

«Ahhahahah. Professionalmente la politica non c’entra, quando ho fatto l’animatore ho lavorato anche per un villaggio turistico di uno del Pd. Sono a destra da quando ho 19 anni. Ed è Fini che ha cambiato idea, non io».

E con Gasparri?
«Quando s’è sciolto il Pdl, io ho scelto Fratelli d’Italia. Lo stesso Gasparri disse che era la cosa giusta da fare, ma poi ha cambiato idea. Però la stima e l’amicizia è rimasta intatta».

Si dice che lei è una sintesi tra la capacità da mediatore di La Russa e l’abilità di creare contatti di Gasparri.
«Mi fa piacere, ho imparato molto da loro».

Nel partito la chiamano «turbo-pragmatico».
«Ahahaha! Provo a mantenermi lucido, ma ho anche ben saldi i valori!».

Dia un consiglio pragmatico alla Meloni per il candidato sindaco di Roma.
«Se non avesse un bimbo in arrivo, non avrei dubbi: si deve candidare lei . Ora alzo le mani. Sa, anche io ho due bambini…».

Lei è sposato?
«Sì. In chiesa».

È favorevole alle unioni civili?
«Dico no alla Cirinnà. I bambini devono avere mamma e babbo. I gay non possono invocare il diritto di avere bimbi, diventare genitori è al massimo un desiderio».

Ma non pensa che i gay debbano avere dei diritti?

«Credo possano decidere chi li assiste in ospedale o intervenire in caso di improvvisa mancanza di lucidità del partner».

E la reversibilità?
«Mi pare surreale il rischio di tagliare la reversibilità a una vedova e magari darla a un trans che ha un Isee basso perché guadagna in nero, lavorando sul marciapiede».

Mica tutti i trans si prostituiscono.
«Certo, lo so! Era un paradosso, ma spero che Renzi rinunci alla follia di legare la reversibilità all’Isee».

Cosa pensa del Duce?
«Sfodero il turbo pragmatismo. Se ne occupa la storia».

Per Fini, fu il male assoluto.
«Le leggi razziali lo sono, ma nella storia non è stato l’unico male assoluto. Ho apprezzato Violante quando tese la mano ai combattenti della Rsi. Ma Giorgia (Meloni, ndr) mi prende in giro. Dice che sono così bastian contrario che durante il fascismo sarei stato antifascista!».

di MATTEO PANDINI