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Tortora 30 anni dopo: quando la giustizia non vuole cambiare


E’ una delle pagine più indegne della storia d’Italia. Era il 15 settembre del 1986 quando Enzo Tortora fu scarcerato dopo un incubo lungo oltre tre anni. Fu vittima dell’infamante accusa di associazione di stampo camorristico e traffico di stupefacenti, che poi fu clamorosamente smentita. Era tutto inventato: i pentiti che lo tirarono in ballo mentirono, uno di loro lo ammise candidamente. Il caso Tortora destò allora grande impatto sull’opinione pubblica, la vita di un uomo fu completamente stravolta: il giornalista televisivo tornò a condurre, ma l’anno successivo morì per le conseguenze di una grave malattia. I magistrati che misero sotto accusa Tortora non ebbero conseguenze e i pentiti, i falsi pentiti, si sono garantiti una serena vecchiaia. Il dolore che subì Enzo Tortora e una vita stroncata dalla malagiustizia destarono grande scalpore.


Eppure oggi, dopo 30 anni, poco o nulla sembra essere cambiato. La giustizia italiana è in uno stato di coma che sembra irreversibile e vive oggi come allora gli stessi drammi, le stesse contraddizioni. Magistrati alla ricerca di un posto al sole, raccomandazioni, carriere lampo. Ma anche tempi di prescrizione allucinanti, costi di difesa non per tutti sostenibili, burocrazia da incubo. Sono tutte facce della stessa medaglia, quella della giustizia che non funziona. O che la politica non vuol far funzionare.

Sono anni, decenni che si parla di riformarla. Nel frattempo centinaia, forse migliaia di persone finiscono in galera ingiustamente, altre costrette ad attese snervanti per un processo, disonesti corrotti la fanno franca sfruttando i cavilli di un sistema che di fatto li favorisce, criminali sfruttano l’incertezza della pena per continuare a delinquere. A tutti questi problemi l’Italia ha bisogno una risposta rapida. Senza nuove regole non potremo mai avere uno Stato più giusto: restituire fiducia ai cittadini, questa è la prima cosa da fare.