Prato, banca clandestina cinese riciclava denaro con criptovalute

Sequestrati oltre 9 milioni di euro: una centrale di riciclaggio gestita da banda cinese che rilasciava anche carte d’identità elettroniche contraffatte valide per l’espatrio

Una vera e propria banca clandestina che operava nel cuore di Prato. La banda di cinesi riciclava denaro tramite l’utilizzo e il reimpiego di criptovalute, anche ricorrendo a software illegali di portafogli virtuali per criptovalute. Grazie alle articolate e complesse indagini del Nucleo operativo antifalsificazioni e della sezione criptovalute del comando antifalsificazione di Roma, dai militari del comando provinciale dell’Arma a Prato e dalla Guardia di finanza pratese, coordinati dalla Procura della Repubblica di Prato, sono stati sequestrati oltre 9 milioni di euro.

Come operava la banca clandestina

Una “banca illegale, centrale di riciclaggio, basata sull’impiego di criptovalute, e di rilascio di carte d’identità elettroniche contraffatte valide per l’espatrio e di altri documenti di identità”, è stata scoperta a Prato. A seguito di una perquisizione a un 45enne cinese, spiega la Procura della Repubblica, in uno dei quattro telefoni nella sua disponibilità, sono stati trovati “due software wallet Token pochet collegati a due indirizzi telematici, sui quali risulta una movimentazione di criptovalute”, tra aprile e luglio scorsi, “per valori ingenti di criptovalute”: su un indirizzo risultano essere “stati depositati 10.769.000 Usdt_Trx per un controvalore di oltre 9.040.000,00 euro e i fondi risultano provenire per oltre il 90% da servizi di exchange.

L’analisi delle transazioni in uscita ha evidenziato che i fondi venivano depositati su una piattaforma attestata in Cambogia, che è stata segnalata dalla FinCen del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d’America come un istituto finanziario che opera come centro di riciclaggio di denaro. Sul secondo indirizzo, in una decina di giorni “sono stati depositati oltre 369.000 Usdt_Trx per un controvalore di oltre 320.000,00 euro e i fondi risultano provenire per oltre l’85% da servizi di exchange”.

L’analisi delle transazioni in uscita hanno evidenziato che la maggior parte dei fondi sono stati inviati su wallet privati, dove risultano tutt’ora presenti. Il 45enne cinese e altre persone a lui collegate “sono risultati avere il possesso materiale di dette criptovalute per un controvalore di centodiciassettemila euro. Sono stati rinvenuti, inoltre, complessivamente quindicimila euro in contanti, due stampanti, due laminatori, numerose tessere bianche, con micro cip e banda magnetica, e altre con sola banda magnetica, funzionali alla predisposizione di carte d’identità elettroniche, e pellicole ologrammate”.