Cerca
Close this search box.
Cerca
Close this search box.

Terroristi arrestati: quando la sinistra condannò a morte Calabresi

terroristi arrestati Calabresi

Il manifesto che accusava Calabresi sottoscritto da molti intellettuali di sinistra. Fra i terroristi arrestati anche Pietrostefani, condannato per quell’omicidio

Sette ex terroristi italiani rifugiati in Francia sono stati arrestati a Parigi su richiesta dell’Italia. Sono condannati per atti terrorismo risalenti agli anni ’70 e ’80.

Un fatto importante sottolineato dalle stesse parole di Giorgia Meloni. “L’arresto di sette terroristi rifugiati in Francia rappresenta di fatto la fine della dottrina “Mitterand” e costituisce un passo importante per consentire alla giustizia di fare il suo corso. Fratelli d’Italia si congratula con il presidente del Consiglio Draghi per il lavoro svolto e il risultato raggiunto. Quello che è successo in Italia negli Anni di Piombo non si cancella ed è arrivato il momento di dare ai familiari delle vittime le risposte che aspettano da decenni”.

Fra gli ex terroristi arrestati in Francia c’è anche Giorgio Pietrostefani, condannato per l’omicidio del Commissario Luigi Calabresi, avvenuto a Milano il 17 maggio del 1972. Per il militante di “Lotta Continua” un ordine di esecuzione pena per espiare 14 anni, 2 mesi e 11 giorni di reclusione. Insieme a lui le condanne arrivarono anche per Adriano Sofri e Ovidio Bompressi.

La “vigliaccata” contro Calabresi

Eppure nessuno dimentica che una larga fetta della sinistra “intellettuale” negli anni ’70 sostenne di fatto questi criminali. Lo fece, ad esempio, sottoscrivendo un appello pubblico che fu definito, di fatto, una “condanna a morte” per il Commissario Calabresi.

Fu una lettera aperta a L’Espresso sul caso Pinelli, menzionata anche come appello (o manifesto) contro il commissario Calabresi. Pubblicato il 13 giugno 1971, vi aderirono numerosi politici, giornalisti e intellettuali. Chiesero la destituzione di alcuni funzionari, ritenuti artefici di gravi omissioni e negligenze nell’accertamento delle responsabilità circa la morte di Giuseppe Pinelli. Precipitato da una finestra mentre era in stato di fermo presso la questura di Milano, nell’ambito delle indagini sulla strage di piazza Fontana condotte dal commissario Luigi Calabresi, che lo indicavano ingiustamente come responsabile.

Inizialmente la lettera fu sottoscritta da dieci promotori. Ma ricevette presto la sottoscrizione di personalità come Eugenio Scalfari, Umberto Eco, Dario Fo, Margherita Hack, Dacia Maraini. E ancora Paolo Mieli, Gillo Pontecorvo, Folco Quilici, Oliviero Toscani, Giancarlo Pajetta, Giorgio Bocca. Alcuni di loro si sono detti pentiti anni dopo. Scalfari, ad esempio, si scusò con la vedova di Calabresi. Ma il danno era ormai compiuto.

Terroristi arrestati: il testo del manifesto contro Calabresi

«Il processo che doveva far luce sulla morte di Giuseppe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferroviere ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità della sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato nella legge la possibilità di ricusare il suo giudice. Chi doveva celebrare il giudizio, Carlo Biotti, lo ha inquinato con i meschini calcoli di un carrierismo senile. Chi aveva indossato la toga del patrocinio legale, Michele Lener, vi ha nascosto le trame di una odiosa coercizione.

Oggi come ieri – quando denunciammo apertamente l’arbitrio calunnioso di un questore, Michele Guida, e l’indegna copertura concessagli dalla Procura della Repubblica, nelle persone di Giovanni Caizzi e Carlo Amati – il nostro sdegno è di chi sente spegnersi la fiducia in una giustizia che non è più tale quando non può riconoscersi in essa la coscienza dei cittadini. Per questo, per non rinunciare a tale fiducia senza la quale morrebbe ogni possibilità di convivenza civile, noi formuliamo a nostra volta un atto di ricusazione.

Una ricusazione di coscienza – che non ha minor legittimità di quella di diritto – rivolta ai commissari torturatori, ai magistrati persecutori, ai giudici indegni. Noi chiediamo l’allontanamento dai loro uffici di coloro che abbiamo nominato, in quanto ricusiamo di riconoscere in loro qualsiasi rappresentanza della legge, dello Stato, dei cittadini.»